Gli statunitensi, si sa, sono bravissimi nel marketing. Riescono a trasformare in un'attrazione un finto avamposto in stile western, considerano "very historic" una città fondata alla fine dell'800, considerano di ineguagliabile valore un tramonto sul mare e sono in grado di attrarre migliaia di persone per la visita a una diga. Sembra tutto così bizzarro da questa parte dell'oceano e dall'Italia in particolare dove si banalizzano (e si deturpano) le meraviglie storiche e naturali che il nostro Belpaese possiede.
L'ultima trovata stars and stripes è quella di trasformare anche la mafia in un'attrazione. Ci hanno pensato a Las Vegas, la città del vizio e del peccato creata dal nulla e in mezzo al nulla da un gangester con le manie di grandezza, Benjamin Bugsy Siegel, che nel 1946, con i soldi del mafioso ebreo Meyer Lansky, aprì il Flamingo, il primo hotel-casinò che si fece largo nel mezzo dell'arido deserto del Nevada, dove il caldo asciuga le ossa e il sole non ha pietà. A distanza di oltre mezzo secolo è qui che sorgeranno due musei dedicati ai fondatori e ai personaggi che hanno costruito la leggenda della "Sin City" per eccellenza: da Siegel a Lansky, da Tony Spilotro, detto the Ant, la formica, a Sam «Momo» Giancana, il boss di Chicago che divise l'amante, la bellissima Judith Campbell Exner, con il presidente John F. Kennedy. Uno sarà più istituzionale e offrirà ai visitatori sia il punto di vista dei gangster che quello degli investigatori che gli diedero la caccia, l'altro invece sarà ospitato al casinò Tropicana e avrà come madrina Antoinette McConnell, ultrasettantenne figlia di Momo Giancana. Un omaggio al malaffare? E' proprio così, come del resto ammette lo stesso sindaco perché "la storia del crimine organizzato e quella di Las Vegas non possono essere scisse".
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