Un tappeto di vesti bianche, interrotto qua e là da qualche schizzo di un verde acceso. Il fuoco, la cera che si scioglie sulle basole di pietra lavica che sono il pavimento del centro storico di Catania. E poi quel grido, ripetuto ad oltranza anche quando la voce si fa roca e non riesce più a scandire le parole. "Cittadini, siamo tutti devoti tutti?". Per sentire l'energia del momento, bisognerebbe esserci, a Catania, nei giorni di processione che accompagnano i festeggiamenti per Sant'Agata, il 5 febbraio di ogni anno, una delle più importanti celebrazioni religiose a livello mondiale assieme alla Settimana Santa di Siviglia in Spagna e alla festa del Corpus Domini a Cuzco in Perù.
Agata la "buona", destinata a diventare la protettrice della città di Catania che i suoi devoti ritengono salvò da invasioni, epidemie di peste e colate laviche, era una giovane di origini nobili vissuta nel III secolo. Fu perseguitata dal proconsole romano Quinziano, che al rifiuto della ragazza di assoggettarsi a lui e ripudiare la religione cristiana, la sottopose a indicibili torture, inclusa la recisione di una mammella, e infine ne decretò la condanna a morte. Per approfondirne la storia visitate il sito del Circolo Sant'Agata, dove troverete anche il programma della festa.
I catanesi sono devoti alla loro Santuzza e in suo onore ogni anno si riversano in strada per omaggiare la Patrona. Tantissimi indossano il tradizionale sacco bianco (un camice votivo di tela bianca lungo fino alla caviglia e stretto in vita da un cordoncino), i guanti dello stesso colore e la scurzitta di velluto nero sulla testa e con la mano agitano un fazzoletto bianco. La leggenda vuole che il 17 agosto 1126, quando le reliquie della martire siciliana ritornarono alle pendici dell’Etna dopo un esilio a Costantinopoli durato 86 anni, i catanesi furono svegliati in piena notte dal suono delle campane e si riversarono nelle strade in camicia da notte, con tanto di papalina nera in testa. Quella sarebbe poi diventata la “divisa” del vero devoto.
Si dice inoltre che ogni persona che chiede la protezione della Santa debba donare una candela che abbia il suo stesso peso o la sua stessa altezza. Ed ecco che via Etnea e tutte le strade che tracciano il tragitto della processione si accendono di fiamme e di fiammelle, di ceri che vengono trascinati con fatica in mezzo alla folla che assiste ai festeggiamenti e che riversano la cera sull'asfalto, rendendolo scivoloso anche nei giorni a seguire.
Una festa che unisce fede, folclore e gastronomia. Legati alla storia di Sant'Aituzza, come i catanesi chiamano la loro Patrona, sono alcune tradizioni dolciarie tramandate nel capoluogo dell'Etna. Prima di tutto le Minnuzze, che sono delle piccole cassate siciliane a forma di mammella, a simboleggiare il martirio subito dalla santa, e poi le olivelle fatte di pasta di mandorla, ricoperte di zucchero e colorate di verde, che ricordano un altro episodio della vita della mrtire durante la sua fuga da Quinziano: nel chinarsi per allacciare un calzare, Sant'Agata vide sorgere davanti a s una pianta di olivo selvatico che la nascose alla vista delle guardie e le diede i frutti per sfamarsi.
Qui sotto in un video reperito su Youtube alcuni momenti salienti della festa.
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